Gentilezza sul lavoro? Sì, grazie: migliora la produttività!

Alla fine di un lungo soggiorno in Iran, mi fu chiesto cosa avessi apprezzato di più di quel meraviglioso Paese.

Avrei potuto citare Palazzo Golestan o Torre Milad a Teheran, Piazza Naqsh-e Jahàn a Isfahan, il tè, ma non esitai a rispondere “La gentilezza del popolo persiano, in particolare verso gli italiani“.

E fra le tante piacevoli scoperte di quel soggiorno, la gentilezza rimane ancora oggi il ricordo più vivido e, per certi versi, misterioso di quell’esperienza.
Per molto tempo infatti mi sono chiesta il motivo di tanta gentilezza da parte di un popolo che mi ha sì generosamente accolta e ospitata, ma anche obbligata ad indossare l’hijab in pubblico, un popolo con cui mi sembrava di avere poco o nulla in comune…

La gentilezza sul lavoro

Secondo un’intervista condotta da InfoJobs, la gentilezza sul lavoro dovrebbe essere inserita nel CV tra le soft skill per il 78% degli intervistati.

Sempre secondo questo sondaggio:

La leadership gentile può fare la differenza per il 93% degli intervistati perché contribuisce a creare un clima di lavoro più sereno e di conseguenza permette di ottenere il massimo dalle persone che si sentono più responsabilizzate, e quindi più portate a osare e innovare.

La gentilezza è spesso usata come sinonimo di cortesia, un insieme di atteggiamenti da assumere nelle relazioni con gli altri, una sorta di etichetta.

Ma la gentilezza, intesa come mera cortesia, può influire sulle relazioni professionali al punto da migliorare la produttività aziendale?

In realtà, la cortesia è una convenzione sociale, un insieme di norme comportamentali tipiche di una determinata società. Per questo motivo, lo stesso gesto potrebbe essere considerato cortese o scortese a seconda della cultura in cui si compie.

Ecco perchè è riduttivo parlare della gentilezza solo in termini di cortesia.

Cos’è veramente la gentilezza

La parola “gentile” deriva dal latino “gentilis”, che significa “che appartiene alla gens, cioè alla stirpe”.

Gentilezza dunque significa appartenenza a un medesimo gruppo di persone e il concetto di appartenenza ad un gruppo indica accoglienza del singolo da parte del gruppo stesso.

La gentilezza non è quindi solo nei modi garbati, ma un modo di essere e di affrontare la vita, un atteggiamento verso gli altri che implica ascolto, rispetto e fiducia, con l’intento di creare un ambiente inclusivo in  cui gli individui si sentano accolti.

Lo spiega bene la Dr.ssa Maria Attili in un’intervista sull’importanza della gentilezza in tempo di pandemia: “La gentilezza è una predisposizione d’animo di cura e rispetto per sé (quando ci trattiamo con amore, quando scegliamo di fare ciò che fa bene al nostro corpo e al nostro umore e ogni volta che coltiviamo relazioni serene e appaganti), per gli altri (quando offriamo l’empatia e il sorriso calandoci nella prospettiva altrui, quando prestiamo ascolto senza giudicare). E per l’ambiente in cui viviamo perché gli atteggiamenti di interesse e cura non sono unicamente rivolti alle persone, ma anche alla natura, agli oggetti che ci circondano, alla nostra casa in senso più ampio.”

Mi piace concludere con una frase di uno psicoterapeuta americano, il Dr Wayne W. Dyer:

Quando ti viene data la possibilità di scegliere se avere ragione o essere gentile, scegli di essere gentile“.

Ah, a proposito, la nostra cultura e quella persiana non sono poi così distanti…

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